L’attività dell’amministratore di società in Italia è tradizionalmente inquadrata come una prestazione professionale, tipicamente retribuita, che si fonda su un mandato conferito dagli organi societari. Il principio generale stabilisce che ogni amministratore ha diritto al compenso per l’opera prestata, configurando un vero e proprio diritto soggettivo perfetto. Tuttavia, questo diritto non è assoluto: vi sono numerose situazioni e circostanze giuridiche in cui l’amministratore può vedersi escluso dalla percezione del compenso, talvolta in via definitiva, talvolta solo temporaneamente o in dipendenza da specifiche condizioni.
La normativa e la determinazione del compenso
La disciplina civilistica fissa i presupposti per la maturazione del diritto al compenso dell’amministratore. L’articolo 2389 del codice civile stabilisce che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della loro nomina o dall’assemblea. Questo implica che, per poter accedere al compenso, deve esserci una delibera esplicita dell’organo competente, che individui la misura e la modalità di attribuzione della remunerazione. Tale deliberazione non può essere desunta automaticamente da altre decisioni, come l’approvazione del bilancio, anche se quest’ultimo contenga una voce relativa ai compensi percepiti dagli amministratori.
L’eventuale determinazione assembleare può prevedere che il compenso sia costituito, in tutto o in parte, da partecipazioni agli utili o dall’attribuzione di diritti di sottoscrizione su titoli societari di futura emissione. In alternativa, per gli amministratori investiti di particolari cariche, la determinazione può essere rimessa al consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale.
L’esclusione e la deroga al compenso: i casi più rilevanti
Deroga statutaria
Il diritto al compenso dell’amministratore è considerato disponibile, ossia può essere derogato dallo statuto sociale. Lo statuto può:
- Prevedere che il compenso sia subordinato al conseguimento di utili;
- Eliminare del tutto la previsione di riconoscimento economico e stabilire la gratuità della carica;
- Vincolare il riconoscimento alle circostanze societarie (ad esempio il raggiungimento di specifici obiettivi di bilancio).
La giurisprudenza ha confermato, in diverse occasioni, che la deroga statutaria è legittima e può comportare la non spettanza del compenso anche quando l’amministratore ha svolto la carica per molti anni senza ricevere nulla. In particolare, la Cassazione (Sezioni Unite, sent. n. 1545/2017) ha chiarito che un amministratore che presta servizi gratuitamente, anche per periodi molto lunghi, non può pretendere ex post la remunerazione, salvo espressa previsione statutaria.
Rinuncia al compenso
L’amministratore può rinunciare al proprio compenso; tale rinuncia deve essere espressa e formale, mai tacita. La semplice inerzia o mancata richiesta non equivale a rinuncia, ma può comportare la prescrizione del diritto secondo i termini ordinari della legge.
Condizioni legate agli utili societari
Alcuni statuti stabiliscono che il compenso spetta solo in caso di utile di esercizio o al raggiungimento di determinati risultati. In mancanza di questi risultati, pur avendo svolto le funzioni, l’amministratore non può vedere riconosciuto il compenso per l’anno interessato.
Società ed enti pubblici e no profit
Nel caso di amministratori di enti finanziati con risorse pubbliche, il diritto al compenso può essere radicalmente escluso per legge, essendo la carica considerata onorifica. Analogamente, negli enti no profit – come associazioni sportive dilettantistiche, enti del terzo settore, fondazioni – la normativa vieta la distribuzione di utili o compensi agli amministratori, diretta o indiretta.
Errori tipici e casi critici nella richiesta del compenso
Talvolta l’amministratore, confidando sul principio generale di retribuzione dell’incarico, commette errori o si trova in casi di incertezza che pregiudicano la spettanza del compenso. Vediamone alcuni:
- Delibera assembleare non valida o non espressa: In mancanza di una chiara e valida delibera sulla quantificazione dei compensi, il diritto non nasce, anche se l’amministratore ha operato per diverso tempo.
- Prescrizione del diritto: Se l’amministratore non chiede il pagamento entro il termine di prescrizione ordinaria, decade dal diritto per sola inerzia.
- Rinuncia implicita: L’amministratore che, per un lungo periodo, non reclama il compenso, non si considera tacitamente rinunciatario, ma rischia la prescrizione del credito.
- Clausole statutarie restrittive: Lo statuto può prevedere limitazioni, vincoli e condizioni che, se non rispettate, precludono il riconoscimento economico.
- Società senza utili: Se il compenso è vincolato al raggiungimento di utili, in assenza di questi il diritto non matura.
- Enti pubblici e no profit: La legge può vietare del tutto la remunerazione amministrativa – anche se il titolo di nomina non lo precisa.
Procedure di tutela e soluzioni pratiche
Quando un amministratore ritiene di avere diritto al compenso ma la società nega il pagamento o sorgono controversie in merito, può agire in sede giudiziale. La legge non prescrive parametri fissi per la quantificazione del compenso, quindi, il giudice ne determina la misura sulla base della prassi, dell’importanza dell’incarico e dell’eventuale previsione statutaria.
Tuttavia, una volta che il diritto è stato attribuito da una delibera assembleare o da un accordo, la società non può eliminarlo unilateralmente, se non con il consenso espresso dell’amministratore.
L’amministratore, per tutelare le proprie ragioni, dovrebbe sempre:
- Richiedere per iscritto la deliberazione di determinazione del compenso;
- Verificare attentamente lo statuto sociale per condizioni o deroghe alla spettanza del compenso;
- Azione tempestiva per evitare la prescrizione;
- Considerare la rinuncia formale solo se pienamente consapevole degli effetti;
- Analizzare le normative specifiche per il settore, soprattutto in presenza di enti finanziati con fondi pubblici o no profit.
Nel panorama italiano, il ruolo dell’amministratore impone attenzione non solo agli aspetti tecnici e gestionali, ma anche a quelli giuridici e contabili, per evitare di trovarsi privi di tutela e di remunerazione per l’attività svolta. Consultare un consulente legale o fiscale è spesso essenziale, soprattutto nei casi di incarichi particolari, situazioni di conflitto o in presenza di statuti complessi.
Per approfondire i profili tecnici e normativi dell’amministratore di società, è consigliabile conoscere le principali forme societarie, i criteri di compensazione e le decisioni giurisprudenziali più recenti.